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Lapide di Pio IX

Nel tratto di Mura prospettante su viale Metronio abbondano i materiali lapidei reimpiegati dalle maestranze di Onorio per la costruzione del camminamento. Frammenti di pilastrini, lesene, mensole, sarcofagi ed altri materiali di recupero furono utilizzati per coronare le feritoie e tra i mattoni del paramento. Analoghe caratteristiche costruttive si possono osservare lungo l’intero tratto, fino porta Latina.
All’altezza del civico 30 di viale Metronio, una lapide ricorda la ricostruzione di una torre ad opera di papa Pio IX tra 1860 e 1865.

Via della Ferratella

Nel XII secolo, quando papa Callisto II decise di utilizzare l’arcata di porta Metronia per condurre l’acqua Mariana all’interno della cinta, si aprì la strada al proliferare dei fenomeni di contrabbando. Era molto facile, infatti, trasportare le mercanzie dentro barili e, con l’aiuto della corrente, evadere i balzelli della cinta daziaria che le Mura marcavano. Fu quindi necessario dotare il passaggio di una robusta grata, una ferratella, che ha originato il nome della via, per arginare i fenomeni di contrabbando. Nei primi decenni del Novecento, le arcate delle Mura Aureliane lungo via della Ferratella divennero ricovero per i bisognosi e gli indigenti della città, spesso immigrati da altri luoghi d’Italia. La sistemazione di alloggi di fortuna -realizzati talvolta da soli teloni addossati alle Mura con un po’ di lamiera- accostati gli uni agli altri, formò un vero e proprio villaggio degradato e maleodorante, anche per la presenza delle acque stagnanti e paludose dei canali di irrigazione deviati dalla limitrofa marrana. Tra il 1925 e il 1930, furono condotti lavori di riqualificazione dell’area e fu livellata la strada interna, che assunse l’antico nome di via della Ferratella, fino ad allora attribuito all’asse viario principale, poi intitolato all’Amba Aradam.

Fidelio Gonzales


Più avanti, sul lato prospiciente via Ipponio, è visibile una torre caratterizzata da un paramento in blocchi di tufo rossiccio nella porzione inferiore e di laterizi in quella superiore. All’interno si trovano due camere sovrapposte collegate da una scala centrale. La torre originaria del periodo di Onorio è stata restaurata con probabilità nell’alto medioevo, come si può desumere dalla tecnica muraria del restauro. A partire dal 1939 è stata utilizzata come studio d’artista; il primo ad abitarvi fu l’architetto Remo Riti, e poi, tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, il pittore Saviniano Salvator, l’architetto Pio Chiaretti e infine l’artista messicano Fidelio Gonzales, che rivestì le scale interne e i pavimenti di moquette secondo la moda dell’epoca.

Circolo Tennis Roma


All’incrocio tra piazzale Ipponio e via dei Laterani, una torre alta poco più di due metri, è la prima di un lungo tratto di Mura che raggiunge porta Metronia prospettando su via della Ferratella all’interno e viale Ipponio all’esterno della cintura. Una porzione di fortificazione scandita da sei torri fa da sfondo al Circolo Tennis Roma, con ingresso su viale Ipponio.

Fondato nell’immediato dopoguerra, fino agli anni Settanta del Novecento, il Circolo ha sfruttato il camminamento interno alle Mura Aureliane, che conserva a le testimonianze di quell’utilizzo. Sulla cortina è affissa la lapide commemorativa dei restauri di papa Urbano VIII Barberini.

Società Sportiva Romulea

Nel Settecento, si decise di spostare la residenza dei Padri Penitenzieri, un ordine minore francescano istituito da Pio V (1566-1572) e incaricato delle confessioni dei prelati, dal Vecchio Palazzo Lateranense all’area sul fianco della basilica di S. Giovanni in Laterano. L’architetto Alessandro Galilei progettò e realizzò, tra il 1734 e il 1736, un ampio dormitorio, un refettorio e vari ambienti di servizio; inoltre dotò l’edificio di un’area verde che raggiungeva le Mura urbane. In seguito al rialzamento del piano dell’orto e all’obliterazione delle bocche predisposte nelle Mura per lo scolo delle acque, nel 1741 il tratto di fortificazione corrispondente all’orto cedette. Le Mura crollate furono restaurate tra il 1744 e il 1745 sotto la direzione del marchese Girolamo Theodoli. Oggi il tratto superstite fa da sfondo ai campi da gioco della Società Sportiva Romulea e costituisce il confine tra il giardino del Pontificio Seminario Romano di proprietà della Santa Sede e lo Stato Italiano.

Il tratto successivo è parzialmente coperto da un edificio utilizzato per il gioco delle bocce. Sono ancora visibili l’impianto quadrangolare di una torre e di una porzione di camminamento che mantiene piccole fuciliere simili a quelle utilizzate al tempo di Pio IX per il posizionamento dei soldati a difesa della città.

Villa Elika

In via Locri, un immobile a più piani con ampio terrazzo occupa lo spazio triangolare costituito da una profonda rientranza delle Mura, in corrispondenza del Laterano, e ne impedisce la vista.
Alla metà dell’Ottocento, l’area fu ottenuta in concessione da Pietro Cardella, un floricultore romano noto per le sue vittorie all’Esposizione annuale di camelie. Il vivaio fu in seguito ceduto alla famiglia Del Drago, che dedicò il complesso alla bella Angelica, moglie del principe Ferdinando (1857-1906). Il luogo era conosciuto come “villa Elika”. Nel 1929, la baronessa Avanzo rilevò l’intero fondo e ricostruì il vecchio casino, ampliandolo. Di questa ristrutturazione poco rimane se non l’imponenza di un complesso a cinque livelli affacciato sulla Basilica di San Giovanni e sulle Mura Aureliane.

I Giardini di via Sannio

Lungo via Sannio, nel 2020, sono stati ripristinati i Giardini omonimi, in un’area utilizzata per anni a servizio del cantiere della Metro C. Lo scavo ha fatto riemergere un imponente portico costruito sotto l’imperatore Claudio, intorno alla metà del I secolo d. C., abbandonato e interrato nell’80 d.C. Il colonnato si apriva su un giardino in lieve pendenza verso un corso d’acqua. La struttura era con probabilità attinente ad una ricca residenza, articolata in nuclei disposti su terrazze digradanti. Del portico si conservavano le basi di colonna in blocchi di travertino e la struttura muraria posteriore, a muro pieno, dietro alla quale correva una canalizzazione finalizzata a raccogliere le acque meteoriche in discesa dal colle Laterano. L’ingombro del portico antico è riproposto nei giardini da blocchi di travertino e da cipressi che suggeriscono il colonnato.
Una platea di basi fa invece da sostegno a blocchi e lastre lapidei scoperti a ridosso delle Mura Aureliane e provenienti dall’officina di marmi fondata nel 1885 immediatamente fuori Porta S. Giovanni da Emidio Costa. Il Nuovo Stabilimento Industriale Romano effettuava torniture e segature per gli edifici della città, dal Palazzo della Banca D’Italia a quello del Policlinico, e restauri, tra i quali ricordiamo quelli delle basiliche di San Paolo fuori le mura e di San Giovanni in Laterano. Lo stabilimento riprendeva l’antica vocazione artigianale dell’area, documentata anche nel corso degli scavi preliminari alla realizzazione della Metro C, che hanno riportato alla luce un laboratorio di marmorai attivo dal II secolo.
Il riempimento che a partire dal Cinquecento raggiunse gradualmente la sommità delle Mura Aureliane sul lato interno, trasformò questo tratto del recinto in un semplice muro di sostegno. Per arginare i danni provocati dalla spinta della terra, le Mura furono rinforzate con otto speroni, due dei quali di maggiore estensione in corrispondenza delle torri, forse già parzialmente crollate. Per garantire il deflusso delle acque vennero inseriti nella muratura ventitré barbacani, ovvero bocche ricavate in lastre di travertino. Le opere settecentesche sono tuttora ben visibili percorrendo i giardini.

Le Mura ritrovate

Lo scavo della metro C ha creato l’occasione per riportare alla luce circa 80 m del fronte interno delle Mura, che era stato obliterato dagli interri post-antichi. Il tratto comprende due torri e quattordici arcate del camminamento, nelle quali sono apprezzabili le due fasi costruttive, aurelianea e onoriana, con interessanti riadattamenti funzionali di epoca bassomedievale, testimoniati da resti pittorici figurati e dallo stemma dei Savelli, forse inerenti ad un luogo di culto cristiano. Le strutture idrauliche inserite nel camminamento documentano invece le attività agricole svolte fino al XVIII secolo presso gli orti di proprietà della basilica lateranense. L’area è oggetto di interventi di valorizzazione finanziati con fondi PNRR, che consentiranno l’apertura al pubblico.

Porta Latina

La porta, che prende il nome dalla via Latina, la strada diretta verso la Campania attraverso i Colli Albani e le valli del Sacco e del Liri, fu costruita secondo il modello ad unico fornice rivestito di blocchi di travertino e fiancheggiato da due torri semicircolari di laterizio, comune ad altri varchi del circuito.

Della fase aurelianea rimangono diverse tracce, tra le quali la presenza, nella torre occidentale, di un vano scala per raggiungere la camera di manovra della saracinesca. Quest’ultima, di cui si conserva l’alloggiamento all’interno dell’arco, bloccava l’accesso dall’esterno, mentre verso la città la porta era chiusa con due battenti lignei provvisti di cardini. 

Con l’innalzamento e il rafforzamento delle Mura realizzato dall’imperatore Onorio, anche le torri di porta Latina raggiunsero i tre piani di altezza; per sostenere il peso della camera superiore fu necessario riempire il vuoto della scala nella torre occidentale e ricavare un nuovo accesso in uno dei bracci della controporta, il cortile di guardia interno edificato in epoca onoriana e oggi scomparso.

Il paramento in blocchi della porta è ancora quello di età aurelianea, ad eccezione della riduzione del fornice realizzata durante i lavori dell’imperatore Onorio, di cui si distinguono chiare tracce sul prospetto esterno. A questa stessa fase appartengono il monogramma cristologico scolpito sul blocco esterno centrale dell’arco e la croce bizantina su quello del lato interno. 

Porta Latina, resa definitivamente praticabile solo nel primo decennio del Novecento, fu murata più volte nel corso dei secoli: dopo una breve chiusura nel 1408, il passaggio fu interdetto a seguito delle misure sanitarie dovute alla pestilenza del 1656-1657, fu aperto nel 1669 e murato ancora nel 1808, con una breve riapertura nel 1827. 

Fu proprio la chiusura del varco che nel 1870 impedì al generale Luigi Cadorna e alle sue truppe di entrare in città dal quadrante sud orientale, costringendoli a ripiegare su porta Pia per annettere Roma al Regno d’Italia. 

Porta Metronia

Porta Metronia, costituita da un unico arco privo di decorazioni, era un passaggio secondario ricavato nel tratto di Mura tra due torri, una posterula che consentiva l’accesso al Celio protetta ai due lati dalle Mura stesse, che in questo settore seguivano l’andamento fortemente scosceso del terreno. Il nome, derivato probabilmente dai vicini possedimenti di un Metrobius o Metronianus, compare nella cartografia storica corrotto in Metrobia, Metroia, Metrovi, Metrovia, Metropi, Mitrobiensis, Metaura.

Con la ristrutturazione delle Mura disposta dall’imperatore Onorio nel V secolo (401-403) e la costruzione della galleria superiore, la porta fu dotata di una torre sporgente verso l’interno della città, probabilmente da interpretare come controporta, sede del corpo di guardia o alloggiamento della saracinesca di chiusura.

Dal XII secolo l’arco non fu più utilizzato per il transito, ma nel progetto di potenziamento dei rifornimenti idrici di Callisto II (1122) divenne il passaggio per il canale che conduceva in città l’Aqua Mariana. La zona si prestava a questo scopo anche per la presenza di una valle naturale conformata sin dall’antichità dallo scorrimento delle acque e da formazioni palustri, note in letteratura con il nome di palus Decenniae, dalle proprietà della gens Decennia

Pochi anni più tardi la struttura, che evidentemente versava in condizioni degradate, fu restaurata per volontà del Comune di Roma, come ricorda un’iscrizione tuttora leggibile sulla lapide murata nella cortina della torre di controporta, che reca la data del 1157 e l’elenco dei senatori. Una seconda lapide del 1579, posta accanto alla precedente, documenta un successivo restauro eseguito sotto il pontificato di Gregorio XIII, promosso da un conservatore capitolino, discendente di quel Nicola Mannetto, presente tra i firmatari della lapide medievale. 

L’arco della porta chiusa è attualmente visibile dal lato interno alla città ad un metro circa di altezza rispetto al piano stradale moderno. Il piano di calpestio originale, infatti, fu progressivamente innalzato nei primi del Novecento con i terreni di riporto provenienti dagli scavi delle Terme di Caracalla e della Passeggiata Archeologica, che interrarono definitivamente anche il canale dell’Acqua Mariana. 

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