Nel 1564 il cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano acquistò un terreno, anticamente occupato dagli Horti Luculliani, incaricando l’architetto Nanni di Baccio Bigio di realizzare un palazzo residenziale. Successivamente Ferdinando de’ Medici, nominato cardinale da papa Pio IV e trasferitosi a Roma nel 1576, acquistò l’intera proprietà.
L’ambizioso progetto di trasformare la residenza in un palazzo concepito come un museo fu affidato a Bartolomeo Ammannati, mentre l’artista fiorentino Jacopo Zucchi fu incaricato di decorare le stanze dell’edificio secondo il complesso piano cosmologico, politico e celebrativo della dinastia de’ Medici. Seguendo la moda dell’epoca Davide Fortini creò, inoltre, un parco dai grandi effetti scenografici, ricco di piante rare e pregiate, con viali intrecciati, arricchiti da opere d’arte e da un belvedere, il Parnaso, dal quale si poteva godere una vista mozzafiato di Roma. Il lato che si affacciava verso il suburbio era invece “arroccato” e ben difeso dalle mura Aureliane, delle quali la proprietà sfruttava camminamenti e torri.
Ed è in una di queste torri, lontano dagli sguardi indiscreti e dalla mondanità, che Ferdinando volle realizzare il suo studiolo. In questo luogo il cardinale poté dedicarsi alla sua passione per la botanica, la zoologia, le pratiche alchimiste e non solo… Si narra, infatti, che lo studiolo fosse utilizzato come alcova e che le amanti potessero accedervi in gran segreto grazie a un ingresso nascosto.
Tra il 1576 e il 1577 Jacopo Zucchi affrescò questo piccolo padiglione. La sala più piccola, denominata la stanza dell’Aurora, fu decorata, secondo il gusto dell’epoca, con motivi allegorici, grottesche e interessanti vedute della stessa Villa Medici, un mix tra realtà, fantasia, simbologie e architetture. Ma la vera creatività si apprezza nella sala principale, ribattezzata sala degli uccelli, dove un pergolato e una voliera sembrano avvolgere il visitatore tra una moltitudine di volatili, animali di ogni sorta e rare specie vegetali: un vero e proprio compendio della flora e della fauna dell’epoca, dove tra rose canine, papaveri, alberi di giuggiole e mele cotogne trovano il loro habitat pellicani, upupe, nibbi, civette, api, faine e galletti.
Tanta bellezza ha rischiato di scomparire quando nel 1803 Napoleone trasferì a Villa Medici l’Accademia di Francia, destinando il padiglione a studio di scultura e seppellendo gli affreschi sotto uno strato di scialbatura. Un recente restauro ha riportato alla luce questa meraviglia permettendoci di vivere le stesse emozioni provate nel cinquecento dai rari ospiti dello studiolo.