Possente muro in calcestruzzo foderato con opera reticolata, appartenente alle sostruzioni
degli Horti Aciliorum e in seguito inglobato nelle Mura Aureliane.

Itinerario 1. Da Porta Flaminia a Porta Pia / 1151
Itinerary 1. From Porta Flaminia to Porta Pia / 1153
Intervento commissionato dall’amministrazione francese a Giuseppe Valadier nel 1813
quando Roma, seconda capitale dell’Impero, fu interessata da importanti programmi
urbanistici. Il progetto prevedeva la risistemazione delle Mura Aureliane in questo tratto,
particolarmente in rovina, con una struttura di sostegno che doveva raggiungere il Muro
Torto, costituita da grandi archi di scarico su pilastri.

Il progetto di porta Pia fu affidato a Michelangelo Buonarroti (1475-1564), che realizzò solo il prospetto interno. I lavori, iniziati nel 1560, si interruppero nel 1565, lasciando incompleto il fastigio.
L’aspetto attuale del monumento si deve a Pio IX (1846-1878) che, a seguito della caduta di un fulmine nel 1851, affidò al suo architetto di fiducia Virginio Vespignani (1808-1882) la ricostruzione della facciata michelangiolesca: furono ricostruite tutte le parti murarie, mantenendo la struttura originaria solo nelle ali di muro laterali.
Nel 1852 Silverio Capparoni (1831-1907) realizzò l’affresco della Madonna con Bambino, trasformato poi in mosaico nel 1936.
Tra il 1862 e il 1868 Vespignani realizzò anche il fronte esterno, ispirandosi alla tipologia dell’arco trionfale a un solo fornice con nicchie laterali, entro le quali vennero collocate le sculture di Sant’Agnese e Sant’Alessandro realizzate nel 1865 da Enrico Amadori (1836-1867), che eseguì anche l’Angelo Pontificale sulla mensola nella chiave dell’arco. Si definì così la struttura a doppia porta con cortile.
Le operazioni militari della presa di Roma del 20 settembre 1870 causarono gravi danni soprattutto alle decorazioni del fronte esterno, alle cortine di muro adiacenti e alla parte interna del fronte michelangiolesco. Le successive esigenze funzionali di viabilità determinarono l’apertura di fornici e il taglio dei due tratti adiacenti di Mura, isolando così completamente la porta, oggi sede del Museo Storico dei Bersaglieri.






L’antica porta Flaminia fu realizzata, a cavallo dell’omonima via consolare, dall’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) e per lungo tempo costituì uno degli accessi favoriti alla città per chi giungeva dal nord.
Agli inizi del V secolo Onorio la trasformò: la facciata fu rivestita di travertino e decorata con una semplice cornice a dentelli. Le mura stesse vennero consolidate e furono realizzate due nuove torri laterali quadrangolari che inglobarono nella costruzione quelle di Aureliano.
Nelle piante di Roma più antiche, la porta continua ad assumere vari nomi tra i quali porta San Valentino, per la vicinanza della basilica omonima e delle sue catacombe o porta Flumentana, per la prossimità con il Tevere. La porta prese poi definitivamente la denominazione del Popolo, dal nome dell’adiacente chiesa.
Papa Sisto IV della Rovere (1471-1484) restaurò parzialmente la porta rafforzandone la struttura. Un secolo più tardi, nel 1561-62, per volere di papa Pio IV Medici (1559-1565), la facciata esterna della porta venne restaurata dallo scultore Nanni di Baccio Bigio, forse con l’intervento di Michelangelo e di Jacopo Barozzi da Vignola. In questa occasione furono riutilizzati molti materiali antichi come le colonne di granito provenienti dall’antica basilica costantiniana di San Pietro.
Una grande lapide collocata nella trabeazione ricorda i lavori:
PIVS IIII PONT MAX PORTAM IN HANC AMPLI/TVDINEM EXTVLIT/VIAM.FLAMINIAM/ STRAVIT ANNO III.
In occasione del trionfale ingresso a Roma della regina di Svezia Cristina Wasa (23 dicembre 1655), convertita al cattolicesimo, papa Alessandro VII Chigi (1655-1667) commissionò il restauro del prospetto interno della porta a Gian Lorenzo Bernini. Nella nuova facciata furono inseriti elementi araldici riferiti sia alla famiglia Chigi (quercia, stella e monti) che alla famiglia reale svedese (le spighe).
A ricordo dell’evento fu posta una lapide: FELICI FAVSTOQVE INGRESSVI/ ANNO MDCLV. Con questo intervento la porta assunse, ufficialmente, la funzione d’ingresso civile e religioso alla città. Nel 1658, per accentuare il significato della porta come ingresso privilegiato alla città santa, tra le colonne del prospetto esterno, vennero poste le statue dei Santi Pietro e Paolo, opere di Francesco Mochi.
Con l’unità d’Italia, venuta meno la funzione difensiva delle mura, porta del Popolo divenne uno dei punti centrali del programma urbanistico della nuova capitale. Per agevolare il crescente traffico la porta fu ampliata con l’apertura di due nuovi archi laterali, operazione che decretò la demolizione delle due torri quadrangolari.
L’intervento (1877-79), realizzato dall’architetto Agostino Mercandetti, è ricordato dalle due targhe poste al di sopra dei fornici laterali:
ANNO MDCCCLXXIX/RESTITVTAE LIBERTATIS X/TVRRIBVS VTRINQVE DELETIS/FRONS PRODVCTA INSTAVRATA S.P.Q.R./VRBE ITALIAE VINDICATA/INCOLI .FELICITER AVCTIS/GEMINOS FORNICES CONDIDIT






Il nome originario non è conosciuto, fu chiamata Pinciana solo nel IV secolo per la vicinanza al Mons Pincius. La porta viene ricordata anche come porta Salaria Vetus, poiché in questo punto transitava l’omonima strada, quindi Belisaria, dal nome del generale bizantino che nel 537 respinse Vitige re dei Goti, ed ancora porciniana, portiniana o turata.
Nel 275 Aureliano realizzò una posterula a cavallo di una via secondaria: leggermente obliqua rispetto all’andamento delle mura, la porta fu dotata di una torre dalla forma irregolare, realizzata in mattoni e probabilmente a un solo piano. A Massenzio si attribuiscono limitati interventi di restauro, mentre fu con Onorio che, nel 403, la porta assunse dimensioni monumentali. Fu realizzato un fornice più ampio in travertino, sormontato da una prima galleria coperta, dotata di una camera di manovra per la movimentazione della saracinesca: in caso di pericolo la porta veniva sbarrata da due battenti in legno e da una saracinesca che veniva fatta scivolare dall’alto grazie a dei veri e propri “binari” in travertino. Al di sopra fu realizzato un ulteriore cammino di ronda, scoperto e merlato. Fu aggiunta una controporta interna ed una seconda torre, leggermente più piccola della precedente. La posterula divenne così uno dei punti strategici dell’intero circuito, testimone di reiterati assedi.
In tempo di pace il traffico locale si divideva tra porta Pinciana e la vicina porta Salaria. Un singolare documento del 1467 attesta l’uso di concedere le porte urbane in “affitto”, con relativo diritto alla riscossione del pedaggio per il transito, a privati investitori che si assicuravano un buon guadagno dalle gabelle applicate a uomini e merci. Nel 1474 al prezzo di «79 fiorini currenti e bolognini 10» un certo conte de Stefano Maccaroni si aggiudicò, con un unico lotto, le porte Pinciana e Salaria (registro della dogana per l’anno 1474, conservato nell’Archivio Vaticano, documento XXXVII, riportato da S. Malatesta in “Statuti delle gabelle di Roma”, Roma 1886).
Nel XVIII secolo le torri si conservavano ancora fino al secondo piano ma, intorno al 1821, la struttura era talmente fatiscente e traballante che, per motivi di sicurezza, furono abbattute le parti sommitali e foderata la parte inferiore della torre orientale, poi ulteriormente rinforzata ai tempi di Pio IX. Per agevolare il traffico, tra il 1908 e il 1935, sacrificando la muratura antica, furono aperti gli attuali passaggi veicolari.






