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La torre di Nicolò V Parentucelli

La prima torre che si incontra dopo piazzale Labicano è stata ricostruita al tempo di papa Niccolò V (1445-1458); nonostante l’assenza dello stemma la torre possiede le caratteristiche dei restauri attribuiti a questo pontefice: l’aggiunta di una parete inclinata nella parte bassa (scarpa) e le cannoniere, di cui rimangono visibili all’esterno lastre di tufo con un foro centrale. Nel XX secolo all’interno della torre fu sistemato un serbatoio idrico dell’Acea, ancora esistente e, dal 1933, al servizio del vicino centro idrico Eleniano progettato dall’architetto Raffaele De Vico. 

Le iscrizioni di Gregorio XVI Cappellari

In piazzale Labicano, sul fronte esterno delle Mura Aureliane, a sinistra di porta Maggiore, si trova una lapide in marmo che ricorda i restauri promossi da papa Gregorio XVI (1831-1846) nel decimo anno del suo pontificato. I lavori, compiuti a scopo difensivo, liberarono la porta di Aureliano dalle superfetazioni delle epoche successive. Essi previdero anche il restringimento dei fornici e l’innalzamento di un muro merlato, che oggi non vediamo perché  fu rimosso nel 1915, nel corso di alcuni lavori di sistemazione dell’area condotti dal Comune di Roma. L’aspetto della porta, antecedente alle trasformazioni ottocentesche, è restituito dalle rappresentazioni grafiche storiche, tra cui le celebri incisioni di Giovanni Battista Piranesi e Giuseppe Vasi. 

La lapide, con un’iscrizione scarsamente leggibile, recava in origine la seguente dicitura: S.P.Q.R./QUI TRASFERITA DALLA VICINA PORTA PRENESTINA/RESTITUENDO ALL’ANTICA FORMA/I FORNICI DI CLAUDIO/MCMXVI. 

Nella medesima circostanza Gregorio XVI fece apporre una seconda iscrizione in onore degli imperatori Arcadio e Onorio, che agli inizi del V secolo avevano ricostruito la porta nella sede attuale, conservando le fondazioni della struttura precedente. La lastra con l’iscrizione rubricata in nero, si trova in piazzale Labicano, inserita nel tratto di Mura Aureliane a sinistra di porta Maggiore ad un’altezza da terra di circa 65 centimetri. 

Il serbatoio idrico

In via Eleniana, tra porta Maggiore e la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, fu eretto nel 1933 su progetto dell’architetto Raffaele de Vico un serbatoio idrico. La costruzione del manufatto rientrava in un programma di riorganizzazione degli impianti idrici della città, finalizzati alla pulizia delle strade e all’innaffiamento dei giardini pubblici. La cisterna, alimentata dall’Acquedotto Pio Marcio e con una capacità di 2000 mc di acqua, doveva servire i quartieri Appio-Latino, Prenestino-Labicano, Tuscolano e Tiburtino, per una superficie totale di 140.000 mq. La realizzazione dell’opera fu affidata alla ditta dell’ingegnere Rodolfo Stoelker, specializzata nell’esecuzione di impianti in cemento armato. Terminati i lavori delle apparecchiature tecniche, de Vico iniziò la costruzione del “raccoglitore”, ispirato ad elementi architettonici e decorativi desunti dalla vicina porta Maggiore e dal sepolcro del fornaio Eurisace. De Vico disegnò infine anche due fasci littori in travertino collocati sugli spigoli del prospetto principale, rimossi alla caduta del regime fascista.

Gli acquedotti

Nell’area di porta Maggiore confluivano sette degli undici acquedotti di Roma, costruiti tra il secolo IV a.C. e l’avanzata età imperiale. L’Aqua Marcia (144 a.C.), l’Aqua Tepula, (125 a.C.), l’Aqua Iulia (33 a.C.), l’Aqua Claudia (52 d.C.) el’Anio Novus (52 d.C.), che avevano i condotti in superficie, furono inglobati nella costruzione delle Mura Aureliane e attualmente sono ancora in parte visibili.

Il sepolcro Di Eurisace

Nel 1838 con la sistemazione urbanistica della zona di porta Maggiore fu messo in luce un sepolcro vicinissimo alla porta. 

Il nome del ricco proprietario, un fornaio, liberto di origine greca, appare in un’iscrizione che si ripete sui tre lati conservati della tomba: “questo è il sepolcro di Marco Virgilio Eurisace, panettiere, appaltatore di forniture pubbliche e apparitore. La tomba, realizzata tra il 30 e il 20 a. C, fu eretta forse per la prematura morte della moglie Atistia, di cui fu ritrovata l’urna cineraria in marmo a forma di madia, mobile usualmente utilizzato per la conservazione del pane. 

Gli elementi semicircolari del sepolcro ricordano le impastatrici usate per la panificazione, mentre sul fregio sono illustrate le fasi della lavorazione del pane. 

Sul prospetto frontale, rivolto verso chi entrava a Roma, i viaggiatori potevano ammirare i due coniugi in un rilievo, conservato nel Museo della Centrale Montemartini, e rimanere meravigliati per la vivace rappresentazione del fregio, esaltato dalla policromia ora scomparsa.

Porta San Giovanni

La porta, caratterizzata da un solo fornice rivestito in travertino, si apre nelle Mura Aureliane a poca distanza dalla antica porta Asinaria, alla quale si andò a sostituire come accesso alla città nel corso della seconda metà del XVI secolo.

In principio, infatti, papa Pio IV Medici nel 1564 fece aprire un varco in corrispondenza di una delle torri di questo tratto delle Mura, probabilmente per agevolare l’ingresso in alternativa alla porta antica, la cui quota di calpestio era ormai troppo bassa rispetto al suolo circostante. Successivamente, per volontà di papa Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585), si procedette ai lavori di riorganizzazione della viabilità sia interna, verso la basilica di San Giovanni, che esterna, verso i Castelli Romani, e si edificò la nuova porta.

Il progetto dell’opera si deve a Giacomo del Duca, architetto di origine siciliana, già allievo e collaboratore di Michelangelo nella realizzazione di porta Pia, che si avvalse della collaborazione dei capomastri Bartolino e Giulio di Castello e Giovan Maria de Rubeis. La porta è costituita da un arco decorato da bugne dal taglio obliquo e dal taglio piatto, compreso tra due paraste giganti composte da bugne rustiche e bugne lisce alternate. In alto si imposta l’attico, traforato da balaustrini e decorato da ghirlande in corrispondenza delle paraste. Al centro è collocata la targa con l’iscrizione celebrativa che ricorda l’apertura della nuova porta, realizzata nel 1574 «per pubblica utilità e ornamento della città». Al di sopra è presente lo scudo di uno stemma, privo tuttavia degli elementi araldici. Sulla chiave dell’arco trova posto una testa moresca in marmo, con il capo adornato da una ghirlanda di fiori e con il collo abbellito da una collana di perle, probabile riferimento alla gloriosa vittoria riportata nella battaglia di Lepanto (1571) dalla Lega Santa contro l’impero ottomano.

La vicinanza della basilica lateranense, cattedrale di Roma, deve aver imposto la pianta asimmetrica della porta: il lato in direzione della chiesa presenta infatti un angolo di apertura maggiore rispetto all’altro, quasi un invito ad indirizzare il flusso di pellegrini e cittadini verso il luogo santo. 

Porta Prenestina e Labicana

La porta sorge sulla propaggine sud-est dell’Esquilino, in un’area un tempo elevata, denominata ad Spem Veterem per la presenza nelle vicinanze di un antico tempio dedicato alla Speranza. Il santuario, eretto nel 477 a.C., non è stato mai ritrovato, ma ha lasciato alla zona il toponimo. Il luogo era attraversato, fin da epoca remota, dalle vie Labicana e Prenestina. 

Nel tempo l’area venne caratterizzata dalla presenza di numerosi acquedotti, che da qui entravano in città sfruttando l’altezza del luogo. Tra il 38 e il 52 d.C. furono eretti dagli imperatori Caligola e Claudio due acquedotti: Aqua Claudia e Anio Novus. In questa occasione fu costruito un grande arco a doppio fornice, realizzato in opera quadrata di travertino nella particolare tecnica detta a bugnato rustico. Le arcate, sotto le quali passavano le due strade, sono delimitate da piloni che presentano finestre rettangolari, inquadrate da semicolonne corinzie e sormontate da un timpano. L’attico dell’arco è costituito da tre fasce attraversate dagli spechi degli acquedotti e contraddistinte da iscrizioni: l’epigrafe superiore ricorda la costruzione dell’opera da parte dell’imperatore Claudio, mentre le altre due si riferiscono ai successivi restauri condotti da Vespasiano nel 71 e da Tito nell’81 d.C.

Con la costruzione delle Mura Aureliane, le arcate degli acquedotti furono inglobate nella nuova cinta muraria e i due fornici monumentali assunsero la funzione di porta urbica che rimase in uso fino all’epoca di papa Gregorio XVI nel 1838, quando venne abbattuta. Il suo aspetto originario ci è noto solo grazie alle antiche raffigurazioni, tra le quali quelle celebri di Giovanni Battista Piranesi e Giuseppe Vasi.

Ai due lati esterni erano due torri, originariamente rotonde, trasformate agli inizi del V secolo in forma quadrata durante la ristrutturazione avvenuta sotto il regno di Onorio. Nel corso delle demolizioni ottocentesche tornò alla luce l’antico sepolcro di Marco Virgilio Eurisace, inglobato nella costruzione della torre rotonda di Aureliano che era collocata al centro delle due porte. All’interno della cinta muraria vi era una controporta destinata al corpo di guardia, anch’essa demolita nel 1838, e la cui fondazione venne scoperta nel corso di scavi avvenuti negli anni 1955-1957. 

Le due porte gemelle furono denominate, dal nome delle vie sottostanti, rispettivamente porta Labicana e porta Praenestina, mentre quello attuale di porta Maggiore (Porta Maior), attestato sin dal X secolo, sembra essere derivato dalla presenza della vicina basilica di Santa Maria Maggiore.

Porta Asinaria

La porta Asinaria era in origine un semplice arco rivestito in travertino, aperto lungo un tratto di Mura compreso tra due torri. La porta consentiva il transito lungo la via Asinaria, percorso secondario rispetto alle più importanti vie Latina e Appia. 

Con la ristrutturazione di Onorio nel V secolo, il varco venne modificato e monumentalizzato, anche in funzione dell’accesso alla basilica di San Giovanni in Laterano. Oltre al raddoppiamento dell’altezza, la difesa venne potenziata con l’edificazione di due torri semicircolari, affiancate alle preesistenti torri quadrate, e con la costruzione di una controporta dotata di una corte interna per il corpo di guardi. 

Durante la guerra greco-gotica, porta Asinaria costituì l’accesso alla città per le truppe di Belisario (536) e di Totila (546), per diventare poi teatro delle ultime fasi del conflitto fra Enrico IV e papa Gregorio VII (1084). Nota dall’Alto Medieoevo col nome di porta Lateranensis, porta Sancti Johannis Laterani o porta de Laterano, mantenne per secoli la sua funzione difensiva, come dimostrano i progressivi adattamenti all’evoluzione delle tecniche militari e degli armamenti, tra i quali la riduzione delle finestre del corpo centrale dopo l’introduzione delle armi da fuoco. 

Con il graduale innalzamento del livello del suolo circostante, dovuto a  trasformazioni urbanistiche e a fenomeni naturali, la porta divenne inutilizzabile per la sua quota troppo bassa. Dopo essere stata spogliata del rivestimento in travertino e delle soglie, venne murata per volere di papa Pio IV (1559-1565) e definitivamente abbandonata dopo la costruzione di porta San Giovanni nel 1574. 

Solo i lavori di restauro degli anni Cinquanta del Novecento portarono alla riscoperta e al recupero del monumento, che fu liberato dal potente interro che lo aveva parzialmente obliterato. In tale occasione venne rimessa in luce la controporta, nota soltanto dalla documentazione grafica antecedente al 1574, e fu riaperto il varco, rivestito nuovamente in travertino sulla base delle impronte dei blocchi asportati. 

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