La “Legnara al Popolo”

Sulla destra di Porta del Popolo, lungo piazzale Flaminio, è collocata un’imponente lapide, sovrastata da uno stemma monumentale, sulla quale si legge.

PIUS SEXTUS P.M. / NE QUID LIGNIS PERICULI SIT / A LATRONIBUS AB INCENDIIS / AB IMPERVIO AERIS MEATU / PRECIBUS MERCATORUM ET FABRUM LIGNARIORUM / BENIGNISSIME INDULGENS / EX ADVERSO VETERIS AREAE LIGNIS / EXPONENDIS A CLEMENTE XII EXCITATAE / NOVAM EMPTA AD ID VINEA / MURO CIRCUMSEPTAM INSTRUI IUSSIT / GUILLIELMUS S.R.E. CARD. PALLOTTA / PROPRAEF. AERARII APOST. / F.C. / A. MDCCLXXX

Nell’iscrizione si celebra l’opera di papa Pio VI Braschi (1775-1799) che nel 1780 aveva ampliato il deposito della legna, fatto costruire da Clemente XII Corsini (1730-1740), per proteggere il prezioso materiale da furti e incendi.

La lapide si riferisce ad una struttura di cui oggi non rimane più traccia, edificata nei pressi del fiume, al di fuori delle mura, nota come legnara; la sua storia è connessa con il fiorente commercio della legna da ardere e da lavoro, utilizzata nei cantieri edili, che veniva trasportata via fiume su grandi zattere dai boschi dall’alta valle del Tevere e depositata in vari punti della città.

A seguito di un violento incendio del 1734, papa Clemente XII ordinò l’immediata costruzione di un nuovo deposito in un’area “fuori di porta Flaminia (…) verso il Tevere”. Diventato insufficiente già nel 1780, papa Pio VI, assecondando le preghiere di mercanti e artigiani, provvide alla recinzione di un’area limitrofa, collocando anche una nuova lapide monumentale e il suo stemma a ricordo dell’intervento.

Nel corso dell’Ottocento le due legnare settecentesche vennero a confinare con il mattatoio e il campo boario, edificati nel 1824 – 1825; dopo alcuni interventi di restauro effettuati a metà del secolo da Gioacchino Hersoch, l’ampliamento del mattatoio costrinse al ridimensionamento del deposito della legna e al riutilizzo dei recinti esistenti per la costruzione di altre strutture del Campo Boario e del pubblico Macello.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, per permettere la costruzione dei muraglioni del Tevere e del nuovo ponte Regina Margherita, ciò che rimaneva della legnara fu demolito insieme agli edifici del Mattatoio e del Campo Boario e la lapide venne smontata e ricollocata dove ancora oggi si trova. Una piccola targa marmorea sottostante spiega che la lapide monumentale fu qui trasferita dall’estremità di questa via prossima al Tevere e murata in questo luogo nel 1906.

Il tinello de li’ gentil’homini

A ridosso del muro di cinta di Villa Borghese, lungo via Pinciana, è presente un originale edificio noto come Grotta dei Vini o Loggia dei Vini. Si tratta di un manufatto ideato appositamente per banchetti e feste conviviali che il cardinale Scipione Borghese, nipote di Papa Paolo V, fece realizzare nei primi anni del XVII secolo nella sua villa “fuori di Porta Pinciana”. Il “tinello de’ li gentil’ homini”, come definito nelle fonti seicentesche, era inserito in uno dei ventitré riquadri che scompartivano il cosiddetto “Primo Recinto”, la zona del parco sistemata a giardino formale. Esso costituiva lo scenografico fondale di uno dei viali laterali, che intersecavano il percorso principale verso il Casino Nobile. Attraverso un cammino ombroso si accedeva al padiglione, posto al centro di un invaso, collegato da una scala a doppia rampa al piano del giardino, delimitato da alti muri ricoperti d’edera “tappezzeria proporzionata all’habitazione del Dio Bacco”. La fabbrica conobbe due distinte fasi costruttive. Sotto la direzione dell’architetto Flaminio Ponzio venne dapprima scavata la grotta, destinata alla conserva dei vini, connessa alle cucine della villa cardinalizia da un cunicolo sotterraneo. L’ambiente, definito “copiosissima dispensa di nettari e d’ambrosie”, venne terminato entro il 1609. A partire dal 1612 vennero condotti i lavori di costruzione della loggia, un’interessante architettura a pianta ovale, costituita da otto grandi arcate su pilastri, collegata da un’ampia gradonata alla sottostante grotta. La loggia fu completata nel 1618 dall’architetto Giovanni Vasanzio, subentrato nella fabbrica nel 1613, alla morte di Flaminio Ponzio. Nello stesso arco di tempo venne affrescata la volta con il Convito degli Dei dal pittore urbinate Archita Ricci. Le fonti raccontano della presenza di due sfingi egizie poste ai lati della rampa di accesso all’invaso, di una fontana rustica incassata nel sottoscala e di otto grandi uccelli in peperino, collocati a coronamento della copertura. Lungo il perimetro dell’invaso erano poste due tavole marmoree destinate a “credenza e bottiglieria”, mentre al centro della loggia era collocato un grande tavolo di marmo bianco, su cui erano stati praticati degli incavi, dove scorreva acqua per mantenere fresche le bevande nei bicchieri. Per stupire ulteriormente i commensali era stato infine montato un congegno meccanico sul soffitto, che consentiva di riversare una pioggia di petali profumati sugli ospiti al termine del convito.

L’epopea dei Bersaglieri

Anche se la prima apparizione dei Bersaglieri a Roma avvenne nel 1849 a Porta San Giovanni, nell’immaginario collettivo il loro ricordo è legato a Porta Pia.

Erano le 5.15 del 20 settembre 1870: tre batterie aprirono il fuoco, scandito e preciso su pochi metri di fronte, furono sparati 888 colpi e venne dato l’ordine di assalto ai bersaglieri del 12° e del 34° battaglione; varcate le Mura veniva quindi issata bandiera bianca e molte finestre della città si coprivano di tricolori improvvisati.

Il Corpo dei Bersaglieri, istituito nel 1836, fu fondato per volere del generale Alessandro La Marmora, convinto della necessità di dotare l’esercito di un Corpo di tiratori, o bersaglieri, forniti di un’arma a tiro rapido e preciso, addestrati ad operare in terreni accidentati e montuosi.

Dal 1887 il generale Edoardo Testafochi iniziò a raccogliere cimeli e documenti legati alle vicende dei Bersaglieri, incrementati nel corso degli anni fino a prendere forma concreta nel 1904 quando fu inaugurato, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, il Museo Storico presso la caserma La Marmora in Trastevere. Ben presto i locali risultarono insufficienti, e per il Museo, trasformatosi nel frattempo in Ente Morale con decreto del 1921, venne proposta la sistemazione nei locali di Porta Pia concessi dal Comune nel 1931.

Il 18 settembre 1932 veniva aperta al pubblico la nuova e attuale sede del Museo alla presenza di cinquantamila cappelli piumati accorsi al suono delle fanfare da tutta la penisola, contemporaneamente alla solenne inaugurazione dell’imponente scultura in bronzo del bersagliere realizzata sul piazzale antistante da Publio Morbiducci.

Il Museo, memoria storica dello spirito e del cuore dei bersaglieri, accoglie migliaia di cimeli e ricordi, dipinti ad olio, acquarelli, tempere, bozzetti, raccolte di fotografie. Molte le armi di estremo interesse storico, dalle zagaglie alle lance, dagli scudi finemente cesellati ai tamburi. Appena entrati è il suggestivo Sacrario dedicato agli oltre centomila bersaglieri caduti per la Patria, mentre in una piccola sala, dedicata ad Enrico Toti e ai bersaglieri ciclisti, è conservata la famosa bicicletta con un unico pedale e la stampella.

Signorina grandi firme, col tuo stile novecento hai portato il turbamento…

L’idea del “grande magazzino” nasce alla metà dell’Ottocento in Francia, destinata a cambiare lo stile dei consumi delle città europee e americane. Il grande magazzino è un luogo in cui si entra liberamente, dove la merce ha un ampio assortimento a prezzi modesti e fissi e dove tutti possono acquistare, o solo sognare di acquistare.

Una vera sfida: abituare la clientela di ceto elevato all’acquisto di prodotti non esclusivi, ma comunque di ottima qualità, e educare il ceto medio alla buona fattura e alla moda, anche attraverso cataloghi ai quali ispirarsi. Il pubblico veniva coccolato in salette dove riposare e socializzare, ascoltando musica e bevendo una tazza di tè. Venivano inoltre offerti servizi come il coiffeur o l’ufficio postale e telefonico.

Dalla fine dell’Ottocento i grandi magazzini furono il punto di riferimento per i gusti degli italiani e per l’affermazione su larga scala dell’industria tessile. É in questo quadro che si inserisce il senatore Borletti, creatore a Milano di uno dei primi grandi negozi, battezzato da Gabriele Dannunzio “La Rinascente”, che sarà la pietra miliare di una lunga catena.

A Roma il primo edificio venne inaugurato negli anni Venti in via del Corso e negli anni Cinquanta una seconda Rinascente fu realizzata nel quartiere umbertino di piazza Fiume, a pochissimi metri dalle mura Aureliane e dal varco veicolare che aveva sostituito l’antica porta Salaria. Quest’ultima fu progettata dagli architetti Franco Albini e Franca Helg e i lavori realizzati tra il 1960 e il 1961: un disegno ambizioso che prevedeva l’inserimento di una struttura modernissima in un contesto storico-urbanistico delicato e fortemente segnato dalla tradizione.

L’utilizzo del ferro e del cemento hanno generato un edificio dalla struttura apparentemente rigida: un parallelepipedo delineato da piani sbalzati verticali e orizzontali, dove vari elementi, come l’uso di increspature nel cemento, gronde o canali per l’illuminazione, contribuiscono a rendere fluida e movimentata la superficie con chiaroscuri di ispirazione classica. Lo scheletro metallico è rivestito da pannelli realizzati in graniglia di granito e marmo rosso, una scelta materica e cromatica per meglio dialogare con l’intonaco dell’edilizia barocca e con la pozzolana e il caldo mattone delle mura Aureliane.

La struttura mantiene il suo fascino anche all’interno dove tutti i nove piani sono costituiti da ambienti aperti, raccordati a ogni livello da uno splendido corpo scala elicoidale sorretto da un impalpabile telaio in acciaio.

Villa Ludovisi: un “fermo immagine” prima della scomparsa

Il quartiere a ridosso di porta Pinciana deve la sua denominazione alla villa seicentesca realizzata dal cardinale Ludovico Ludovisi (nipote del pontefice Gregorio XV) a ridosso delle mura Aureliane. La villa contava edifici importanti, un lussureggiante giardino, una preziosa collezione archeologica e artistica e era oggetto di grande ammirazione da parte di studiosi e viaggiatori italiani e stranieri.

Quando tra il 1885 ed il 1889 la proprietà venne destinata alla lottizzazione dal principe Rodolfo Boncompagni Ludovisi, numerose si levarono le proteste. Mentre erano in corso le demolizioni Gabriele D’Annunzio scriveva: «I giganteschi cipressi Ludovisii, quelli dell’Aurora, quelli medesimi i quali un giorno avevano sparsa la solennità del loro antico mistero sul capo olimpico del Goethe, giacevano atterrati […] Sembrava che soffiasse su Roma un vento di barbarie e minacciasse di strappare quella raggiante corona di ville gentilizie a cui nulla è paragonabile nel mondo delle memorie e della poesia» (G. D’Annunzio, Le Vergini delle Rocce, Milano 1896, cap. I).

Tra il 1883 ed il 1885, prima che i meravigliosi giardini e gli edifici scomparissero, sostituiti dalle costruzioni del nuovo quartiere di Roma Capitale, Ignazio Boncompagni Ludovisi sentì la necessità di documentare la villa. Appassionato di fotografia, raccolse magnifiche foto in un album denominato Villa Ludovisia, conservato nell’Archivio di famiglia. Circa cinquant’anni dopo, il 21 aprile 1930, Francesco Boncompagni Ludovisi, all’epoca Governatore di Roma, donò le copie di 76 foto al Museo di Roma, inaugurato in quello stesso giorno. Sfogliando il prezioso album si ripercorrono i viali ornati dalle numerose sculture antiche e fontane, l’ombroso bosco dei lecci, il piazzale dei Platani antistante l’edificio principale detto il palazzo Grande, il casino dell’Aurora, lo splendido giardino segreto con la sua grande uccelliera, altri edifici residenziali e di servizio, il monumentale cancello d’accesso e la vista delle mura Aureliane che costituivano uno dei confini della villa.

La raccolta di immagini rappresenta dunque un’importante testimonianza della villa scomparsa, della quale oggi sopravvive solo il Casino dell’Aurora e l’edificio inglobato nella sede dell’Ambasciata Americana, mentre parte della collezione archeologica, venduta allo Stato, è oggi esposta presso il Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps, e il gruppo scultoreo del Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini si può ammirare presso la Galleria Borghese.

Studi d’artista in via Campania n.4

L’apertura di questo tratto delle Mura Aureliane, da poco restaurato, segna una tappa nell’iter di valorizzazione dell’intero circuito, teso a rendere percorribili i camminamenti e le torri tuttora conservate. L’obiettivo, è duplice. Da un lato, una più incisiva valorizzazione e fruibilità del più rilevante complesso monumentale e architettonico della città, dall’altro, offrire ai visitatori una passeggiata da un osservatorio privilegiato.

Un nuovo approccio conoscitivo e divulgativo, che guarda al circuito difensivo come protagonista di un racconto attraverso secoli di storia, a partire dalla loro creazione, voluta dall’imperatore Aureliano (tra il 271 e il 275 d.C.) per proteggere la città dai reiterati attacchi delle popolazioni barbariche provenienti dal nord Europa, ai rifacimenti degli imperatori e dei Papi, fino alla proclamazione di Roma Capitale del Regno d’Italia. Danneggiate, più volte restaurate e in parte demolite, le Mura Aureliane portano i “segni” della loro storia.

Il tratto visitabile, contiguo a porta Pinciana, comprende tre torri con relativi camminamenti. Dell’ impianto originario di epoca Onoriana (401- 403 d.C.) sono ancora percorribili i camminamenti inferiori coperti, quelli superiori a cielo aperto e le torri con le camere sovrapposte unite da una scala. Nel 1600 queste Mura segnarono il confine nord di Villa Boncompagni-Ludovisi. A questo periodo risale la splendida nicchia che impreziosisce il prospetto di una delle torri: al centro è collocato il busto di un giovane militare, dalla lunga chioma, abbigliato con lorica e clamide, dai tratti ispirati all’iconografia classica di Alessandro Magno. L’ovale, di gusto barocco, fungeva da sfondo del grande viale che conduceva al Casino dell’Aurora.

Nel 1847, in seguito al motu proprio di Pio IX, il monumento è passato dall’Amministrazione della Camera Apostolica a quella Capitolina. La proclamazione di Roma Capitale del Regno d’Italia, il 20 settembre 1870, ha però segnato il declino delle Mura, che, persa la funzione difensiva, hanno comunque mantenuto quella daziaria fino agli inizi del XX secolo.

All’indomani dell’insediamento della Capitale, quest’area fu stravolta dalla lottizzazione di Villa Ludovisi e dall’espansione edilizia verso il nuovo quartiere Salario. Le mura, ormai percepite come «un ingombrante residuato dell’era pontificia», furono in parte demolite e frammentate per creare varchi e strade di collegamento tra il centro della città e il suburbio. Le mura, perso così il loro aspetto originario, ridotte a tratti isolati, furono successivamente destinate dal Comune a studi d’artisti subendo una trasformazione dell’antica struttura. Quasi un secolo dopo anche questa parentesi si chiuse per lasciare posto, purtroppo, a un periodo di occupazioni illegali e abusi, ricorsi al TAR e interventi della Procura della Repubblica: un complicato iter alla fine del quale si è potuto procedere con un delicato lavoro di recupero e restauro del monumento mirato a conservare la memoria storica nel suo insieme, dagli angusti camminamenti militari, fino agli ateliers illuminati dai caratteristici lucernari.

Il tratto è di competenza della Sovrintendenza Capitolina. Accessibile da via Campania 4 è visitabile su prenotazione. Sito web: www.sovraintendenzaroma.it/content/camminamento-delle-mura-aureliane-di-campania Prenotazione telefonica: 060608

Mens sana in corpore sano: la Società Ginnastica Roma

Il 5 giugno 1890, un gruppo di romani creò la Società Ginnastica Roma e ne affidò la presidenza al figlio di Giuseppe Garibaldi, Menotti. Evidente il carattere polisportivo del nuovo sodalizio che adottò lo sport come mezzo educativo: ginnastica, tennis, bocce, pattinaggio, podismo, tamburello, tiro a segno, camminata veloce e passeggiate ginnastiche. Due iniziative resero realmente innovativa l’attività della Società: la palestra gratuita per i ragazzi, voluta dal Consigliere Fortunato Ballerini, e la nascita di un Comitato, presieduto da Carolina Rattazzi, mirato a diffondere l’educazione fisica tra le donne con esercizi di ginnastica e ballo. Seppure in forma episodica la Ginnastica Roma allenò atleti anche nel gioco della palla vibrata e nel football, o meglio nel calcio ginnastico, un ibrido tra il calcio attuale e il rugby.

La prima sede fu realizzata nel 1891 nei pressi di via Genova, mentre nel 1920 il sindaco di Roma Luigi Rava diede in concessione alla S.G.R. l’attuale area prospiciente le mura Aureliane: la cronaca ricorda che decine di volenterosi “atleti” armati di badili e carriole ripulirono e spianarono il terreno.

Alla ginnastica, alla scherma, all’atletica e al tennis, si aggiunsero la “palla a cesto”, la futura pallacanestro, il calcio, lo judo, il sollevamento pesi, il pugilato e la volata.

Nel 1931 la S.G.R. ospitò i campionati assoluti di ginnastica maschili e femminili e i campionati europei femminili di pallacanestro nel 1934. Tra la metà degli anni ‘20 e il ‘35 il primato della ginnastica venne superato dalla pallacanestro e dalla scherma: la prima squadra di pallacanestro maschile conquistò il titolo di Campione d’Italia nel 1928, nel 1931, nel 1933 e nel 1935.

Con l’avvento del fascismo furono privilegiate le attività collettive come i saggi ginnici, che ebbero il compito di trasmettere l’immagine di forza e armonia della gioventù italiana secondo la filosofia della mens sana in corpore sano.

Nel corso del secondo conflitto mondiale le attività sportive sopravvissero a stento. La ripresa fu lenta ma segnata da una rivoluzione del mondo dello sport: ricerca scientifica, tecniche di allenamento, alimentazione, medicina sportiva, uso dei media e degli sponsor.

In occasione delle Olimpiadi del 1960 la S.G.R. accolse gli allenamenti della squadra giapponese. Premiata nel 1969 con la Stella D’Oro al Merito Sportivo, la società ancora oggi forma atleti promettenti all’ombra delle mura di Roma.

Su e giù dal Muro Torto al Pincio

Il primo agosto del 1926 furono inaugurati due ascensori che, coprendo un dislivello di circa 15 metri, collegarono la terrazza del Pincio con il viale del Muro Torto. L’impianto, costruito a ridosso dei muraglioni, all’interno di una finta torre, era provvisto di un pozzo, scale di servizio, sala macchine, una stazione superiore e una stazione inferiore.

Il servizio veniva garantito dalle 7 di mattina alle 23, con partenze ogni 5 minuti in coincidenza con le corse dei tram 45 e 46 che congiungevano il nuovo quartiere Trionfale, rispettivamente, con piazza Verbano e piazza Indipendenza. I due ascensori erano indipendenti l’uno dall’altro: ogni cabina era dotata di un comando di marcia e di un telefono che permetteva, in caso di necessità, di mettersi in contatto con il centro di controllo di piazzale Flaminio. In origine, al posto del telefono vi era un allarme sonoro e una lanterna per l’illuminazione in caso di mancanza della corrente.

Il regolamento al quale si dovevano attenere gli addetti ai lavori era rigorosissimo:

«L’agente incaricato della condotta degli ascensori dovrà prendere servizio, con congruo anticipo (..). Entrato nell’edificio, richiuso il portoncino d’ingresso, verificherà il funzionamento meccanico delle porte di accesso e di uscita alle trombe e alle cabine e verificherà il sistema di blocco delle porte; (…) provvederà alla verifica e alla lubrificazione di tutti gli organi in movimento; verificherà la posizione delle funi (…); visiterà le carrucole del pendolo automatico regolatore di velocità; verificherà i motori elettrici degli argani; provvederà alla chiusura dei coltelli degli interruttori per la distribuzione dell’energia elettrica. (…) farà eseguire ad ogni cabina una doppia corsa a vuoto ed una seconda doppia corsa eseguirà poi stando egli nelle cabine stesse (…). Eseguirà accurata spazzatura e spolveratura delle cabine e degli accessi alle due stazioni. Infine per controllare il regolare funzionamento dei telefoni speciali, installati nelle cabine e nella sala macchine, corrispondenti con la stazione del nodo auto-tramviario Flaminio, eseguirà una comunicazione con ciascun apparecchio. (…), aprirà i cancelli verso il Pincio alla stazione superiore, le porte d’accesso per il pubblico alla stazione inferiore ed inizierà il servizio».

I tram su rotaia furono sostituiti dai più moderni autobus che predilessero altri percorsi, così le fermate del Muro Torto furono abolite e nell’agosto del 1960, dopo anni di onorato servizio, anche gli ascensori del Pincio cessarono la loro attività.

Evento memorabile

Questa è la scheda per un evento memorabile da mostrare sulla carta.

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