Porta Salaria

La porta Salaria deve il nome all’omonima strada che, partendo dalla zona di Campo Boario per arrivare fino in Sabina, veniva utilizzata per il trasporto del sale verso le regioni appenniniche fin dall’epoca preromana. La porta oggi non esiste più: pesantemente danneggiata durante i bombardamenti del 20 settembre 1870, venne rasa al suolo e sostituita nel 1873 da una nuova porta disegnata da Virginio Vespignani, allargata nel 1912 e demolita definitivamente nel 1921 per motivi di viabilità.

L’aspetto della porta antica è ricostruibile solo grazie a foto storiche e rilievi, mentre la sua planimetria è riprodotta da elementi di granito rosa inseriti nella pavimentazione stradale di piazza Fiume. La porta è ricordata in diverse fonti antiche con il nome di Salaria, ma anche di San Silvestro, dal nome dell’omonimo pontefice sepolto nella catacomba di Priscilla al terzo miglio della via, e forse di Belisaria, anche se alcuni studiosi attribuiscono questo nome alla vicina porta Pinciana. 

La porta originaria di epoca aurelianea aveva un solo fornice con due torri semicircolari ai lati. Al momento della distruzione nel 1870 furono rinvenuti inglobati nelle torri tre sepolcri, la presenza dei quali aveva determinato le diverse dimensioni delle torri stesse. In età onoriana queste furono rialzate di un piano e la parte inferiore fu rivestita con blocchi di travertino. Probabilmente in quest’epoca venne aggiunta anche la camera di manovra con relativa saracinesca di chiusura del fornice centrale e fu costruita una controporta interna, come quelle di porta Ostiense e porta Tiburtina. 

Tra le vicende storiche che coinvolsero porta Salaria vale la pena ricordare gli eventi legati al sacco di Alarico del 410. Secondo Sozomeno, Alarico entrò in città grazie a un inganno, tradimento del quale parla più diffusamente Procopio fornendo addirittura due distinte versioni. Nella prima, Proba, donna di rango senatorio mossa da pietà verso i suoi concittadini terribilmente provati dal lungo assedio, approfittando del favore delle tenebre, comandò ai suoi domestici di aprire al nemico le porte. Secondo un’altra versione Alarico avrebbe escogitato un piano per prendere la città con un sotterfugio: il re visigoto, fingendo la resa, inviò al Senato romano ambasciatori recanti in dono ben trecento falsi schiavi. Ma costoro, trattenuti all’interno della città, nella notte del 24 agosto del 410, uccisero le guardie del presidio e spalancarono porta Salaria alle truppe di Alarico che conquistarono così la città.

Porta Flaminia

L’antica porta Flaminia fu realizzata, a cavallo dell’omonima via consolare, dall’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) e per lungo tempo costituì uno degli accessi favoriti alla città per chi giungeva dal nord. 

Agli inizi del V secolo Onorio la trasformò: la facciata fu rivestita di travertino e decorata con una semplice cornice a dentelli. Le mura stesse vennero consolidate e furono realizzate due nuove torri laterali quadrangolari che inglobarono nella costruzione quelle di Aureliano. 

Nelle piante di Roma più antiche, la porta continua ad assumere vari nomi tra i quali porta San Valentino, per la vicinanza della basilica omonima e delle sue catacombe o porta Flumentana, per la prossimità con il Tevere. La porta prese poi definitivamente la denominazione del Popolo, dal nome dell’adiacente chiesa. 

Papa Sisto IV della Rovere (1471-1484) restaurò parzialmente la porta rafforzandone la struttura. Un secolo più tardi, nel 1561-62, per volere di papa Pio IV Medici (1559-1565), la facciata esterna della porta venne restaurata dallo scultore Nanni di Baccio Bigio, forse con l’intervento di Michelangelo e di Jacopo Barozzi da Vignola. In questa occasione furono riutilizzati molti materiali antichi come le colonne di granito provenienti dall’antica basilica costantiniana di San Pietro. 

Una grande lapide collocata nella trabeazione ricorda i lavori:

PIVS IIII PONT MAX PORTAM IN HANC AMPLI/TVDINEM EXTVLIT/VIAM.FLAMINIAM/ STRAVIT ANNO III.

In occasione del trionfale ingresso a Roma della regina di Svezia Cristina Wasa (23 dicembre 1655), convertita al cattolicesimo, papa Alessandro VII Chigi (1655-1667) commissionò il restauro del prospetto interno della porta a Gian Lorenzo Bernini. Nella nuova facciata furono inseriti elementi araldici riferiti sia alla famiglia Chigi (quercia, stella e monti) che alla famiglia reale svedese (le spighe). 

A ricordo dell’evento fu posta una lapide: FELICI FAVSTOQVE INGRESSVI/ ANNO MDCLV. Con questo intervento la porta assunse, ufficialmente, la funzione d’ingresso civile e religioso alla città. Nel 1658, per accentuare il significato della porta come ingresso privilegiato alla città santa, tra le colonne del prospetto esterno, vennero poste le statue dei Santi Pietro e Paolo, opere di Francesco Mochi.

Con l’unità d’Italia, venuta meno la funzione difensiva delle mura, porta del Popolo divenne uno dei punti centrali del programma urbanistico della nuova capitale. Per agevolare il crescente traffico la porta fu ampliata con l’apertura di due nuovi archi laterali, operazione che decretò la demolizione delle due torri quadrangolari. 

L’intervento (1877-79), realizzato dall’architetto Agostino Mercandetti, è ricordato dalle due targhe poste al di sopra dei fornici laterali:

ANNO MDCCCLXXIX/RESTITVTAE LIBERTATIS X/TVRRIBVS VTRINQVE DELETIS/FRONS PRODVCTA INSTAVRATA S.P.Q.R./VRBE ITALIAE VINDICATA/INCOLI .FELICITER AVCTIS/GEMINOS FORNICES CONDIDIT

Porta Pinciana

Il nome originario non è conosciuto, fu chiamata Pinciana solo nel IV secolo per la vicinanza al Mons Pincius. La porta viene ricordata anche come porta Salaria Vetus, poiché in questo punto transitava l’omonima strada, quindi Belisaria, dal nome del generale bizantino che nel 537 respinse Vitige re dei Goti, ed ancora porciniana, portiniana o turata. 

Nel 275 Aureliano realizzò una posterula a cavallo di una via secondaria: leggermente obliqua rispetto all’andamento delle mura, la porta fu dotata di una torre dalla forma irregolare, realizzata in mattoni e probabilmente a un solo piano. A Massenzio si attribuiscono limitati interventi di restauro, mentre fu con Onorio che, nel 403, la porta assunse dimensioni monumentali. Fu realizzato un fornice più ampio in travertino, sormontato da una prima galleria coperta, dotata di una camera di manovra per la movimentazione della saracinesca: in caso di pericolo la porta veniva sbarrata da due battenti in legno e da una saracinesca che veniva fatta scivolare dall’alto grazie a dei veri e propri “binari” in travertino. Al di sopra fu realizzato un ulteriore cammino di ronda, scoperto e merlato. Fu aggiunta una controporta interna ed una seconda torre, leggermente più piccola della precedente. La posterula divenne così uno dei punti strategici dell’intero circuito, testimone di reiterati assedi.

In tempo di pace il traffico locale si divideva tra porta Pinciana e la vicina porta Salaria. Un singolare documento del 1467 attesta l’uso di concedere le porte urbane in “affitto”, con relativo diritto alla riscossione del pedaggio per il transito, a privati investitori  che si  assicuravano un buon guadagno dalle gabelle applicate a uomini e merci. Nel 1474 al prezzo di «79 fiorini currenti e bolognini 10» un certo conte de Stefano Maccaroni si aggiudicò, con un unico lotto, le porte Pinciana e Salaria (registro della dogana per l’anno 1474, conservato nell’Archivio Vaticano, documento XXXVII, riportato da S. Malatesta in “Statuti delle gabelle di Roma”, Roma 1886).

Nel XVIII secolo le torri si conservavano ancora fino al secondo piano ma, intorno al 1821, la struttura era talmente fatiscente e traballante che, per motivi di sicurezza, furono abbattute le parti sommitali e foderata la parte inferiore della torre orientale, poi ulteriormente rinforzata ai tempi di Pio IX. Per agevolare il traffico, tra il 1908 e il 1935, sacrificando la muratura antica, furono aperti gli attuali  passaggi veicolari.

Porta Asinaria

La porta Asinaria era in origine un semplice arco rivestito in travertino, aperto lungo un tratto di Mura compreso tra due torri. La porta consentiva il transito lungo la via Asinaria, percorso secondario rispetto alle più importanti vie Latina e Appia. 

Con la ristrutturazione di Onorio nel V secolo, il varco venne modificato e monumentalizzato, anche in funzione dell’accesso alla basilica di San Giovanni in Laterano. Oltre al raddoppiamento dell’altezza, la difesa venne potenziata con l’edificazione di due torri semicircolari, affiancate alle preesistenti torri quadrate, e con la costruzione di una controporta dotata di una corte interna per il corpo di guardi. 

Durante la guerra greco-gotica, porta Asinaria costituì l’accesso alla città per le truppe di Belisario (536) e di Totila (546), per diventare poi teatro delle ultime fasi del conflitto fra Enrico IV e papa Gregorio VII (1084). Nota dall’Alto Medieoevo col nome di porta Lateranensis, porta Sancti Johannis Laterani o porta de Laterano, mantenne per secoli la sua funzione difensiva, come dimostrano i progressivi adattamenti all’evoluzione delle tecniche militari e degli armamenti, tra i quali la riduzione delle finestre del corpo centrale dopo l’introduzione delle armi da fuoco. 

Con il graduale innalzamento del livello del suolo circostante, dovuto a  trasformazioni urbanistiche e a fenomeni naturali, la porta divenne inutilizzabile per la sua quota troppo bassa. Dopo essere stata spogliata del rivestimento in travertino e delle soglie, venne murata per volere di papa Pio IV (1559-1565) e definitivamente abbandonata dopo la costruzione di porta San Giovanni nel 1574. 

Solo i lavori di restauro degli anni Cinquanta del Novecento portarono alla riscoperta e al recupero del monumento, che fu liberato dal potente interro che lo aveva parzialmente obliterato. In tale occasione venne rimessa in luce la controporta, nota soltanto dalla documentazione grafica antecedente al 1574, e fu riaperto il varco, rivestito nuovamente in travertino sulla base delle impronte dei blocchi asportati. 

Consenso ai cookie GDPR con Real Cookie Banner Skip to content