Mura Serviane, Porta Sanqualis

Un’aiuola circolare arricchita da palme, al centro del piazzale di Largo Magnanapoli, conserva i resti poco visibili di una muratura a grandi blocchi squadrati giallastri. Una targa marmorea ricorda che si tratta delle “Mura Serviane dell’epoca dei re, tornate in luce nel novembre MDCCCLXXV”. 

A quegli anni, immediatamente successivi alla proclamazione di Roma Capitale del Regno d’Italia, risalgono i grandi lavori di costruzione della nuova via Nazionale, che partendo dalla zona di Termini giungeva fino quasi alla piazza Venezia, attraversando e tagliando tenute, campi e ville e ridisegnando quindi anche quote e livelli, come è ben visibile osservando oggi sul lato est della stessa piazza l’altezza del muro di contenimento successivo al taglio della Villa Aldobrandini. 

Gli sterri misero in luce e tagliarono molte strutture e resti archeologici, rivelando una situazione in cui le murature più antiche erano spesso tagliate o coperte anche da strutture antiche ma posteriori di vari secoli. 

Al momento della scoperta la struttura era conservata in altezza per 5 filari (di cui se ne intravedono oggi solo 3) e in lunghezza per 15 metri, rispetto agli attuali 10. Orientata circa nord-ovest/sud-est, la struttura si pone quasi perpendicolarmente rispetto al ciglio del colle sul quale correva il tracciato murario. Questo tratto murario è però in connessione con altri rinvenuti negli stessi scavi, in particolare con un’altra struttura parallela a questa più a nord, a distanza di circa 11 metri, collegata con un angolo ottuso ad un altro tratto murario che si dirige verso nord e verso Palazzo Antonelli. 

La situazione già al momento dello scavo appariva abbastanza complessa: Roberto Lanciani riconosceva in questa sorta di invito verso l’interno una porta urbica. Nella sua generale e magistrale pubblicazione delle mura repubblicane, G. Säflund riconosceva nel braccio più meridionale la fiancata sinistra di una porta, simile alla porta orientale del castrum di Ostia, con un’apertura di circa tre metri, identificandola con la Porta Sanqualis, la più meridionale del Quirinale, che prendeva il nome dal non lontano santuario dell’antica divinità di origine sabina Semo Sancus

Più probabile invece che la struttura sia la spalla destra della porta, una sorta di contenimento/terrazzamento della pendice di un piccolo avvallamento, e questo potrebbe spiegare anche la presenza dei piccoli setti che avrebbero ancorato la struttura all’interno.

Mura Serviane, via Carducci

Nel 1909 durante i lavori di urbanizzazione della parte più settentrionale del Quirinale, furono tracciate nuove strade, demolendo l’originale villa Spithover. Questa poggiava su un lungo muro di terrazzamento antico con andamento circa nord-sud, ben visibile nelle foto d’epoca, costituito da blocchi di tufo granulare grigio (cappellaccio), con sottostanti setti murari in cementizio.

La realizzazione della nuova via Carducci tagliò l’antico muro, di cui si vedono oggi i due monconi, lunghi circa 11 metri ciascuno, sui lati della strada, poco dopo l’incrocio con via Piemonte. Verso nord la muratura si conserva in un vano ricavato sotto il palazzo, mentre verso sud il tratto su strada poggia su un basamento moderno in mattoni, e prosegue poi sotto una specie di loggiato porticato realizzato nell’angolo del palazzo tra via Carducci e via Salandra. Sull’architrave di questo porticato compare la scritta “QUAE URBEM SERVAVERUNT, HIC MOENIA SERVANTUR” (“Qui sono preservate le mura che hanno preservato la città”).

Secondo quanto pubblicato al momento dei lavori, il tratto murario era originariamente lungo oltre 35 metri e alto in media 3.30 metri, con nove filari orizzontali di blocchi di tufo.  Nella facciata ovest, che costituisce quella esterna della cinta muraria, la parete si presenta rientrante, per formare una scarpa che doveva rafforzare la funzione di terrazzamento del muro stesso.

Tradizionalmente la presenza dei blocchi di cappellaccio fa attribuire questo tratto murario alla fase più antica della fortificazione, di VI secolo a.C., ma vi sono forti dubbi sulla reale datazione di esso.

Porta Fabbrica

Aperta sulle mura cinquecentesche del circuito vaticano, porta Fabbrica, oggi murata e a una quota più bassa rispetto all’attuale piano stradale, presenta un semplice arco in laterizio con lo stemma pontificio di Clemente XI Albani (1700-1721) alla sommità. Come l’intero sistema difensivo cinquecentesco, la porta era preceduta sul fronte esterno da un fossato oggi non più presente, ma documentato dall’acquaforte di Giovan Battista Cipriani del 1817.

Il nome della porta deriva dal fatto che essa costituiva la via di comunicazione privilegiata alle fornaci della zona limitrofa in direzione dell’Aurelia Antica, da cui venivano prelevati i materiali per la fabbrica di San Pietro. Per tale motivo fu conosciuta anche con il nome di porta Fornacum

Sotto lo stemma pontificio è ancora visibile l’emblema della Fabbrica di San Pietro rappresentato dalle chiavi e dalla tiara pontificia affiancate dalle lettere F. A. (Fabrica Apostolica).

Fu murata e riaperta varie volte fino all’intervento di ricostruzione del pontefice Albani che, secondo l’erudito Giuseppe Bianchini, la riedificò di nuovo dai fondamenti (G. Bianchini, G. Vasi, Delle magnificenze di Roma antica e moderna libro primo che contiene le porte e mura di Roma, Roma 1847).

Porta Castello

Costruita sull’ampliamento delle Mura vaticane voluto dal pontefice Pio IV Medici (1559–1565) intorno al 1563, porta Castello fu la prima in ordine di tempo aperta sul nuovo recinto mediceo in corrispondenza della spianata della fortezza di Castel Sant’Angelo.

La porta fu completata nel 1565 come attesta un pagamento per la decorazione architettonica allo scalpellino fiorentino Paolo Pianetto.

L’originario accesso, non più esistente, si trovava all’altezza delle attuali via di porta Castello e via Vitelleschi.  Nel 1883 la Giunta Comunale ne deliberò la demolizione per le rinnovate esigenze urbanistiche del quartiere di piazza d’Armi.

Oggi, con lo stesso nome, vengono indicati i due fornici sul Passetto, il primo aperto dallo stesso Pio IV per l’accesso ai Borghi e il secondo risalente agli anni Trenta del Novecento.

La porta, dal marcato carattere militare, con un’unica apertura architravata a bugne, era decorata alla sommità delle lesene da due palle medicee, dallo stemma pontificio e da iscrizioni dedicatorie. 

Porta Angelica

Porta Angelica fu costruita nel 1563 sotto il pontificato di Pio IV Medici (1559-1565) in occasione del piano di ampliamento dei Borghi affidato dal papa mediceo all’architetto cortonese Francesco Laparelli (1521-1570). 

La porta fu realizzata sul nuovo tratto di Mura Vaticane in sostituzione dell’antica porta San Pellegrino risalente al pontificato di papa Leone IV (847-855), dal 1277 conosciuta anche come porta Viridiaria dal nome del vicino giardino vaticano di Niccolò III Orsini (1277-1280).

Testimonianze della decorazione architettonica di porta Angelica sono ancora visibili, murate, sul tratto delle Mura Vaticane nell’angolo con l’odierna piazza Risorgimento tra il Bastione del Belvedere e il nuovo muro di cinta restaurato nel 1929 in occasione della nuova delimitazione dello Stato della Città del Vaticano. 

La porta, di aspetto monumentale, si presentava con un grande fornice arcuato a bugnatura liscia, ornata ai lati da due angeli scolpiti in rilievo che simbolicamente rimandavano al concetto di città protetta e ben custodita. Nella chiave dell’arco era lo stemma mediceo del papa, oggi privo delle sei palle dell’emblema araldico.

Sull’attico correvano le due epigrafi dedicatorie: ANGELIS SVIS MANDAVIT DE TE VT CVSTODIANT TE IN OMNIBVS VIIS TVIS, ispirata al Salmo 90 di Davide e QUI VULT SALVAM REMPUBLICAM  NOS SEQUATUR.

La porta fu demolita nel 1890 nell’ambito del piano di costruzione del nuovo quartiere umbertino, allo scopo di rendere più agevole il traffico in relazione all’allargamento della via prevista dal Piano Regolatore. I frammenti furono recuperati grazie all’intervento del celebre storico tedesco Ferdinand Gregorovius (1821-1891).

La porta attualmente conosciuta come porta Angelica in prossimità del Colonnato di San Pietro è, in realtà, l’apertura a due fornici sul tracciato del passetto di Borgo. Uno dei due fornici risale al pontificato di Pio IV e fu aperto proprio in occasione della costruzione della porta originaria nel 1563, mentre il secondo fu aggiunto nel 1933 e reca lo stemma del Comune di Roma.

Porta Pertusa

Costruita probabilmente in posizione più avanzata rispetto alla cinta leonina sul luogo di una originaria posterula in corrispondenza dei Giardini Vaticani, porta Pertusa rappresentava un accesso di servizio della Curia. Prima della sua costruzione l’accesso ai Giardini Vaticani era garantito soltanto dalla porta Viridiaria costruita da Leone IV (847–855) in prossimità della basilica vaticana. 

L’accesso è caratterizzato dalla mole della Torre di San Giovanni delle mura di Niccolò V Parentucelli (1447–1455).

L’attuale porta, risalente alla costruzione della cinta cinquecentesca, su commissione di Clemente VII Medici (1523–1534) o, più verosimilmente di Pio IV Medici (1559–1565) in occasione del suo intervento di ampliamento della cinta, oggi si presenta murata.

Si tratta di un grande portale architravato con due piccoli passaggi laterali incorniciato da una doppia coppia di lesene in bugnato liscio. Al di sopra è ancora visibile lo stemma Medici. La porta costituiva l’accesso privilegiato per chi proveniva dalla via Aurelia e conduceva a via delle Fondamenta, dietro l’abside della basilica di San Pietro. Nel 1655 era già murata, ma venne aperta in occasione della visita in incognito a Roma della Regina Cristina Svezia. Nel 1832, all’epoca della stampa di Luigi Ricciardelli, la porta, erroneamente identificata con porta Fabbrica, presentava di nuovo i due accessi laterali murati.

Porta Cavalleggeri

Porta Cavalleggeri fu aperta da Nicolò V (1447 – 1455) sul tracciato della Civitas Leonina, la cinta difensiva dell’area vaticana che il pontefice Leone IV aveva fatto costruire in seguito al saccheggio della basilica di San Pietro da parte dei Saraceni nell’846. Conosciuta nella seconda metà del Quattrocento come porta Turrionis, era caratterizzata dalla presenza del grosso torrione semicircolare risalente al circuito altomedievale, ancora visibile nei pressi della Galleria Amedeo di Savoia, anche se in un contesto ormai alterato dalla viabilità moderna.

La denominazione porta Cavalleggeri si attesta sotto il pontificato di Pio IV Medici (1559 – 1565) per la vicinanza della caserma delle guardie Cavalleggeri, il corpo militare con compiti di guardia della residenza pontificia e delle cerimonie solenni. 

Lo stesso pontefice arricchì il fronte esterno con una fontana abbeveratoio alimentata dall’Acqua Lancisiana e, sul muro sovrastante la vasca, sono ancora leggibili le epigrafi e gli stemmi che ricordano la sua realizzazione nel 1565 per utilità e comodo del corpo di guardia dei Cavalleggeri e il suo restauro nel 1713 a opera di Clemente XI.

Ricostruita da Alessandro VI Borgia nel corso dei lavori di fortificazione intrapresi per l’Anno Santo del 1500, la porta presentava una mostra a bugnato singolo sormontato in chiave dallo stemma del pontefice.

Sotto Paolo III Farnese, nell’ambito dell’imponente opera di potenziamento difensivo della città, seguita al saccheggio del 1527, porta Cavalleggeri divenne nodo di congiunzione tra le Mura Vaticane e il nuovo circuito che si andava progettando alle pendici settentrionali del Gianicolo, poi definitivamente realizzato negli anni Quaranta del Seicento da Urbano VIII Barberini, nel tracciato che da porta Cavalleggeri passava per porta San Pancrazio e arrivava a porta Portese.  

Fu tra le porte principali che rimasero aperte anche nel 1656 quando, a causa della peste, la Congregazione di Sanità ordinò di chiudere gran parte degli accessi e di limitare l’ingresso in città. 

Luogo strategico di accesso dall’Aurelia, la porta, nel 1849, fu teatro di scontro tra i soldati della Repubblica Romana e le truppe francesi.

Nel 1890, insieme a porta Angelica, venne demolita per le nuove esigenze di viabilità. La decorazione architettonica, gli stemmi, le iscrizioni e la fontana vennero risparmiate e collocate nel tratto di Mura adiacente. In quella occasione la vasca abbeveratoio fu sostituita da un antico sarcofago di reimpiego.

Porta Santo Spirito

Le prime notizie sulla porta Santo Spirito sono riferibili al IX secolo quando papa Leone IV (847-855) fece costruire una cinta di mura da lui dette Leonine, per proteggere da futuri attacchi il territorio vaticano che era stato lasciato all’esterno delle Mura Aureliane.

Originariamente denominata posterula Saxonum (posterula dei Sassoni), perché vicina alla schola Saxonum, o di porta Nuova, sotto il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) mutò il nome in porta Santo Spirito dal vicino complesso ospedaliero tuttora esistente. 

Ricostruita da Antonio da Sangallo il Giovane, che a seguito del drammatico saccheggio (1527) di Roma, venne incaricato da papa Paolo III Farnese (1534-1549) di rinforzare e ampliare le Mura di Roma, in particolare quelle della Civitas leonina, la porta, verso il lato esterno della città, presentava un grande fornice centrale, affiancato da coppie di colonne doriche e da nicchie, forse destinate a statue di santi.

Sulla fronte di entrambi i prospetti, al centro dell’attico, dovevano essere inserite due targhe marmoree, le cui iscrizioni, tramandate da Pirro Ligorio, erano state composte da Francesco Molza a celebrazione dell’opera fortificatoria promossa dal pontefice. La porta, proseguita dopo la morte del Sangallo (1546) dai suoi successori secondo il progetto originario, rimase incompiuta al di sotto dei capitelli.  

Caratterizzata dall’andamento curvilineo del prospetto esterno, la porta, racchiusa tra i due speroni delle nuove mura farnesi, si trovava sull’antico asse “urbano” della via sub Janiculo, poi della Lungara, che conduceva a porta Settimiana. Questo importante raccordo fra il circuito delle Mura Aureliane del Trastevere e quello papale, rettificato e fiancheggiato da eleganti ville signorili all’inizio del Cinquecento, veniva percorso dai pellegrini che durante gli anni giubilari dopo aver visitato San Pietro, attraversando porta Santo Spirito, porta Settimiana, Trastevere e ponte Rotto, raggiungevano San Paolo e San Giovanni in Laterano. 

Nel 1642, sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini (1623-1644), con la creazione del nuovo sistema difensivo delle Mura Gianicolensi, la porta Santo Spirito si trovò all’interno della cinta muraria perdendo la sua funzione di accesso alla cittadella vaticana.  Privata del suo ruolo strategico, la porta rimase incompiuta, così come si vede oggi, quasi nascosta dall’imponenza del vicino bastione del Sangallo. 

Dopo l’Unità d’Italia (1870), la costruzione dei muraglioni del Tevere e le trasformazioni urbanistiche comportarono la demolizione di ampi tratti del circuito vaticano ancora oggi però in gran parte conservato. Tracce delle porte demolite restano ancora nei pressi di Porta Cavalleggeri e di Porta Angelica.  

Porta Portese

Porta Portese, posta a pochi metri dall’odierno ponte Sublicio, fu realizzata nel 1644 nell’ambito della costruzione del sistema difensivo del Gianicolo e di Trastevere durante la guerra di Castro, a circa 500 metri più a monte rispetto all’antica Porta Portuensis del circuito di Aureliano. Quest’ultima, rimasta fuori dal nuovo tracciato e perdendo così il suo scopo difensivo, venne demolita nel 1643 e i suoi materiali riutilizzati per la costruzione del nuovo accesso. 

La porta, edificata durante il pontificato di Urbano VIII Barberini sotto la direzione del cardinale Vincenzo Maculano da Fiorenzuola su progetto di Marcantonio De Rossi e del suo collaboratore Giulio Buratti, fu portata a conclusione sotto Innocenzo X Pamphilj, come attesta lo stemma di famiglia, con i gigli e la colomba con un ramo d’ulivo, che campeggia sopra l’arco centrale.

La porta è priva delle classiche torri laterali e presenta verso l’esterno della città un prospetto architettonico monumentale in travertino che reinterpreta il modello sangallesco della porta Santo Spirito: un grande fornice centrale, affiancato da quattro colonne doriche impostate su un alto stilobate e da due nicchie. L’attico è coronato nelle parti aggettanti da parapetti a giorno che fungono da balaustrata del cammino di ronda, al posto del normale camminamento merlato.

Per la sua prossimità al porto di Ripa Grande, questo ingresso aveva una funzione prettamente commerciale, come dimostra anche la presenza di strutture di servizio quali l’arsenale pontificio e la casa del dazio ancora visibili. La porta costituiva anche un punto di passaggio molto frequentato dai pellegrini che, giunti dal mare, risalivano il fiume per poi raggiungere il Vaticano attraverso Trastevere, passando per le porte Settimiana e Santo Spirito. 

Proprio per le aumentate esigenze di viabilità questo tratto di Mura è stato rimaneggiato nei primi decenni del ‘900: nel 1901 vengono rimossi gli infissi della porta ormai deteriorati e nel 1922 viene redatto un progetto per l’apertura di un nuovo fornice. Attualmente accanto alla porta sono presenti due passaggi, uno carrabile e uno più piccolo pedonale e ciclabile. 

Porta San Pancrazio

PORTA AURELIA – SAN PANCRAZIO

Porta San Pancrazio è situata alla sommità del Gianicolo e sostituisce l’antica porta Aurelia che si apriva lungo il perimetro delle Mura Aureliane, in posizione leggermente diversa rispetto a quella odierna. Doveva il nome alla via Aurelia, che si dirigeva a nord-ovest verso la costa tirrenica per poi raggiungere la Liguria. Già nel VI secolo fu più nota come porta San Pancrazio per la vicinanza con la tomba del martire cristiano Pancrazio, a cui fu dedicata la basilica posta poco fuori delle mura.

L’aspetto della porta di epoca romana è oggi ricostruibile dalle fonti iconografiche anteriori alla metà del XVII secolo. É probabile che avesse un solo fornice, rivestito di blocchi di travertino, fiancheggiato da due torri quadrangolari e che fosse dotata di una controporta. 

Con la costruzione della cinta muraria voluta da papa Urbano VIII (1623-1644), innalzata a protezione di tutto il Gianicolo dal Vaticano a Trastevere, la porta originaria fu sostituita da una nuova con fronte architettonico in travertino, in posizione appena più avanzata e con un’angolazione leggermente diversa. Tuttavia la nuova porta seicentesca non ebbe miglior fortuna di quella antica perché venne demolita insieme ai tratti attigui della cinta difensiva dalle cannonate francesi durante i combattimenti per la Repubblica Romana del 1849. 

Terminata la guerra, papa Pio IX dispose subito il restauro delle fortificazioni danneggiate e la ricostruzione della porta, affidandone la realizzazione all’architetto Virginio Vespignani. All’interno erano compresi ambienti per il presidio e per la riscossione del dazio.

Questa terza struttura è quella che ancora oggi vediamo: massiccia costruzione a tre piani, di forma quadrata, che prende spunto dall’arco trionfale. L’iscrizione sull’attico del fronte esterno ricorda le vicende relative alla rovina della porta di Urbano VIII e la ricostruzione di Pio IX, rappresentati rispettivamente dallo stemma Barberini e Mastai. Altri danni vennero arrecati durante la presa di Roma del 1870, quando entrarono le truppe guidate da Nino Bixio. 

Attualmente la porta si presenta del tutto isolata: infatti all’inizio del ‘900 per ragioni di viabilità furono aperti dei varchi sulle Mura, inizialmente chiusi da cancellate. 

Nel 2011, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dall’Unità d’Italia, all’interno del monumento è stato allestito il Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina

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